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Bio

  

 

Giorgio Levi era nato il 18 ottobre 1868, da un’agiata famiglia della comunità ebraica bolognese.

Si laureò in Ingegneria e intraprese la carriera accademica. Era iscritto alla massoneria e al Partito Radicale.

Militò per breve tempo anche nel Partito Socialista. Il 19 giugno 1914 venne rese nota la lista socialista per il Comune di Bologna. Poiché mancava ancora un ingegnere al quale, in caso di vittoria, si sarebbe dovuto affidare l’assessorato dei lavori pubblici, la commissione elettorale si rivolse a Levi, un ex iscritto.

Questi accettò di rientrare nel Partito e di essere portato in lista, ma pose una condizione: sarebbe stato un fedele esecutore della politica amministrativa, ma non avrebbe osservato la disciplina di Partito. Fu eletto anch’egli consigliere comunale ed entrò in Giunta quale assessore all’Edilità.

Il 24 ottobre 1917 il fronte italiano crollò a Caporetto. Gli interventisti approfittarono della disfatta militare per scaricare sui socialisti le responsabilità e gli errori dei militari. Levi fu tra i pochi a sentirsi in colpa.

Una settimana dopo il disastro militare, durante una seduta della Giunta comunale, Levi presentò questo ordine del giorno:

«La Giunta comunale di Bologna, compresa della solennità del momento che l’Italia attraversa, conscia del dovere che incombe, proclama che, ad orientare la sua azione fino a che il Paese non sia sgombro dagli invasori, domineranno soltanto l’amori di Patria ed il pensiero che premessa necessaria di ogni conquista civile è l’indipendenza nazionale».

Levi voleva arrivare a un radicale mutamento della politica socialista, minacciando le dimissioni se il suo ordine del giorno non fosse stato approvato integralmente. Per evitare una rottura, dato che la Giunta era contraria all’o.d.g. Levi, il sindaco incaricò gli assessori Oreste Vancini e Mario Longhena di preparare un nuovo testo accettabile da tutti. Levi, allora, si alzò e se ne andò.

Quarantott’ore dopo inviò al sindaco una lettera di dimissioni dal Consiglio. Contemporaneamente, diede anche le dimissioni dal Partito. Mandò a Benito Mussolini una copia della lettera di dimissioni, nella quale condannava il «pacifismo imbelle» dei suoi ex compagni. La corrispondenza con Mussolini spiacque ai socialisti. “La Squilla” biasimò il gesto di Levi: «L’avevamo trattato con dignità, e tutti possono attestarlo. L’ingegner Levi facendo pubblicare nel “Popolo d’Italia” la sua lettera si confessa indegno del nostro trattamento. É il voltagabbana classico che non sa distaccarsi da suo partito senza insultarlo».

Dopo la guerra Levi fu un dirigente dell’Associazione bolognese di Difesa sociale, un’organizzazione di destra dietro cui vi erano i principali esponenti della borghesia conservatrice. L’Associazione finanziò anche il Fascio bolognese di Combattimento. Fu ancora professore incaricato di Tecnologia Meccanico-Chimica presso la Scuola di Chimica Industriale nel 1921-'22.

Levi aveva contribuito a fondare la Scuola quale componente la Commissione della Società degli Ingegneri, che aveva esaminato la proposta nel 1916. Lo stesso Levi, in data 7 febbraio 1916, aveva avanzato in Consiglio comunale la proposta di un Istituto specializzato nelle Industrie della Chimica del Carbonio.

Morì il 15 marzo 1927.

Filippo Simili

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